E' un po' penosa la polemica sorta nel PD dopoché il viceministro Fassina ha ipotizzato l'esistenza di "un'evasione della sopravvivenza". Penosa perché la dichiarazione di Fassina è più ingenua di quanto non avrebbe dovuto essere, dato il ruolo rivestito dallo stesso, e la reazione del PD appare, come al solito, parolaia... come se la realtà dipendesse da quel che viene detto e non, come accade, da ciò che viene fatto... come se quel che non è detto non esistesse (scriverò un post su questo: "sia quel che sia, basta che io non ne sappia nulla..." mi viene in mente un vecchio film con Gino Cervi.... basta che nessuno lo dica e il problema è già grandemente inferiore)
In ogni caso l'ingenuità di Fassina dipende da questo: la tolleranza dell'evasione fiscale in Italia è stata per anni uno strumento improprio, non formalizzato, per abbassare la pressione fiscale sulle imprese e sui consumatori. Per anni la tolleranza dell'evasione ha ottenuto i risultati che sarebbero spettati, maggiori ancora, a un piano di governo serio e programmatico. Poiché quest'ultimo non si riusciva a fare (o non si voleva fare) a causa dell'instabilità politica o degli interessi di parte, la tolleranza dell'evasione è stata l'unica soluzione, l'unico sistema per fare, poco e male, quel che andava fatto.
Tremonti aveva quasi teorizzato questa funzione "incentivante" dell'evasione (ricordo un excursus in occasione di un raduno generale della Guardia di Finanza trasmesso in TV in un anno di mia assoluta disoccupazione).
Alcuni sostengono che l'economia italiana fosse, e sia ancora, "drogata dall'evasione fiscale". Ma dire che l'economia tollerante con l'evasore è drogata significa affermare, implicitamente, che se i soldi evasi fossero stati pagati al fisco le cose andrebbero molto meglio di come vanno... il che è tutto da verificare, dal momento che da quando l'Italia ha cominciato a combattere seriamente l'evasione senza abbassare le tasse le cose han cominciato ad andare sempre peggio.
"Saremmo cresciuti di meno ma meglio, pagando le tasse..." questo significa "drogata dall'evasione fiscale". Di un discorso economico si fa un discorso morale, o viceversa... inavvertitamente.
L'evasione in Italia è stata a lungo tollerata e ha svolto la funzione di incentivo fiscale. E non tanto per sopravvivere ma piuttosto per costruirsi ville che a loro volta hanno attivato circuiti economici virtuosi. Vista dai nostri politici/amministratori l'evasione è stata l'ennesimo strumento utile a evitare una riforma strutturale della spesa pubblica, perché ha permesso all'economia di crescere, sia pure poco, male e illegalmente, ma senza sottrarre prerogative legali allo stato, senza evidenziarne l'insostenibilità strutturale, senza allargare l'area dell'iniziativa privata.
L'evasione della sopravvivenza non produce crescita economica ma solo miseria morale. L'evasione che non serve a costruire ville ma a comprarsi la bistecca al supermercato illividisce, alimenta rabbia, frustrazione. Quindi che Fassina ci dica quel che dice è un fatto naif, da asilo nido. E che il PD si indigni per l'evasione è ignoranza o ipocrisia. Abbassino le tasse, taglino la spesa pubblica e poi, solo poi, si indignino con gli evasori...
Ogni esponente politico serio e onesto, di qualunque schieramento, dovrebbe spiegare ai cittadini che il futuro degli italiani dipende dalla riduzione del debito pubblico. L'ITALIA DIVENTI LIBERA DAL DEBITO
venerdì 26 luglio 2013
martedì 16 luglio 2013
Paradigma immutato
Sono pronto a sostenere che dal XVI secolo a oggi le
concezioni di autorità, responsabilità, liceità e rettitudine morale, nell’ambito
dei paesi di matrice culturale cattolica, non sono mutate, malgrado l’apparente
secolarizzazione della società. E di seguito fornisco una prima prova, a
partire dal testo di uno storico tedesco: Heinz Schilling, Aufbruch und Krise.
Deutchland 1517-1648 [trad. it. Ascesa e declino. La Germania fra il 1517 e il
1648, Bologna 1997, trad. M. Ricciardi, p.78-79, corsivi miei]:
“In che misura dall’etica economica e dalla morale sociale
della vecchia chiesa [la chiesa cattolica] potessero sorgere pesi e ostacoli
psicologici capaci di sbarrare la strada a un pieno dispiegamento del modo di
pensare del protocapitalismo, è dimostrato dalla vita di Johannes Rinck
(1458-1516), borgomastro di Colonia e
mercante dell’Hansa, il quale deve essere annoverato tra i rappresentanti del
protocapitalismo renano e tedesco-occidentale […]. All’età di 53 anni, nel
1511, si ritirò da una vita di mercante piena di successo, poiché, come il
giovane Lutero, egli dubitava di essere sulla retta via. Gli erano venuti
improvvisamente degli scrupoli sul fatto che “i commerci dei mercanti fossero
dannosi alle anime e alle coscienze e non fosse possibile condurli senza
peccato”. Nel suo testamento Rinck lasciò in eredità una considerevole
donazione ai poveri di Colonia […] e in riferimento alla sua peccaminosa vita
da mercante consigliò ai suoi figli di non aspirare per prima cosa alla
professione da mercante, ma di intraprendere la "più sicura, la più placida e
la più pacifica" delle professioni mondane, di diventare cioè professori
universitari.”
Al pari di molti degli odierni dirigenti della pubblica amministrazione italiana, siano essi alti funzionari, magistrati o professori universitari, Rinck arriva al ripudio intellettuale, per ragioni morali e ideologiche, della libera attività commerciale. Il dato sorprendente è che l'atteggiamento di Rinck appare letteralmente "sprezzante" nei confronti della sua attività commerciale, e in ciò esso è ancora più coincidente con il sentimento dei suddetti funzionari. L'indicazione ai figli poi è identica a quella che un'intera generazione della borghesia italiana ha additato ai propri rampolli negli anni sessanta del XX sec. Mentre nel contesto protocapitalistico del XVI sec. il movente del ripudio fu il credo religioso di matrice cattolica, negli anni sessanta del XX sec. il movente era l'ineguaglianza economica e la lotta di classe alle quali si voleva porre rimedio deprecando e punendo la libera attività imprenditoriale e di converso elevando le classi umili a mezzo di sapere e dottrina.
Quello che mi affascina è che l'approccio è identico nel XVI come nel XX sec.:
1. la libera iniziativa imprenditoriale è disprezzata per ragioni etico-ideologiche (per la salvezza dell'anima o per una società più giusta)
2. la professione di professore universitario è esaltata nel XVI e nel XX sec., in quanto neutrale, "placida" e rispettabile. Perché apparentemente slegata da pulsioni materiali e inoffensiva nei confronti di Dio o dei meno abbienti
Il paradigma di fondo è lo stesso nel XVI e nel XX sec., malgrado la secolarizzazione intercorsa: l'agire in vista della propria salvezza spirituale, il tentativo di preservare una sorta di purezza attraverso il rifiuto e il disprezzo del mondo materiale.
Occorrerebbe pensare alla figura, al tipo e carattere umano che emerge da questo. Perché la purezza preservata genera autorevolezza, rispettabilità. E queste a loro volta generano organigrammi titolati, cariche, attese di genuflessioni, bacio d'anelli, ossequio verso il potere.... tutta una serie di vizi dell'europa cattolica e mediterranea in particolare, ma non solo.
Al pari di molti degli odierni dirigenti della pubblica amministrazione italiana, siano essi alti funzionari, magistrati o professori universitari, Rinck arriva al ripudio intellettuale, per ragioni morali e ideologiche, della libera attività commerciale. Il dato sorprendente è che l'atteggiamento di Rinck appare letteralmente "sprezzante" nei confronti della sua attività commerciale, e in ciò esso è ancora più coincidente con il sentimento dei suddetti funzionari. L'indicazione ai figli poi è identica a quella che un'intera generazione della borghesia italiana ha additato ai propri rampolli negli anni sessanta del XX sec. Mentre nel contesto protocapitalistico del XVI sec. il movente del ripudio fu il credo religioso di matrice cattolica, negli anni sessanta del XX sec. il movente era l'ineguaglianza economica e la lotta di classe alle quali si voleva porre rimedio deprecando e punendo la libera attività imprenditoriale e di converso elevando le classi umili a mezzo di sapere e dottrina.
Quello che mi affascina è che l'approccio è identico nel XVI come nel XX sec.:
1. la libera iniziativa imprenditoriale è disprezzata per ragioni etico-ideologiche (per la salvezza dell'anima o per una società più giusta)
2. la professione di professore universitario è esaltata nel XVI e nel XX sec., in quanto neutrale, "placida" e rispettabile. Perché apparentemente slegata da pulsioni materiali e inoffensiva nei confronti di Dio o dei meno abbienti
Il paradigma di fondo è lo stesso nel XVI e nel XX sec., malgrado la secolarizzazione intercorsa: l'agire in vista della propria salvezza spirituale, il tentativo di preservare una sorta di purezza attraverso il rifiuto e il disprezzo del mondo materiale.
Occorrerebbe pensare alla figura, al tipo e carattere umano che emerge da questo. Perché la purezza preservata genera autorevolezza, rispettabilità. E queste a loro volta generano organigrammi titolati, cariche, attese di genuflessioni, bacio d'anelli, ossequio verso il potere.... tutta una serie di vizi dell'europa cattolica e mediterranea in particolare, ma non solo.
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