venerdì 29 novembre 2013

Scambiare la causa con l'effetto - segnali di decadenza

La lunga crociata contro la "Casta" è un vivido segnale di decadenza di questo paese.
Sorprende che nessuno se ne accorga. Con frequenza martellante gli editorialisti-fustigatori della classe dirigente italiana inveiscono contro l'inettitudine dei governanti, degli imprenditori, dei grandi burocrati.
Ne additano l'avidità, l'indecisione, l'impreparazione, la superbia, le vanterie, il pressapochismo, l'arroganza, la superficialità, l'ingenuità, la corruttibilità... tutti difetti immani, non c'è che dire.
Il problema è che tutti questi difetti sono diffusi a ogni livello della popolazione italiana. Non sono "patrimonio" esclusivo delle classi dirigenti. Possibile che nessuno se ne renda conto?

Vedo scuole superiori dove le ragazze e i ragazzi vanno sfoggiando cellulari di ultima generazione, capi firmati, sul possesso dei quali misurano il valore dei loro simili; vanno truccate o discinte, i ragazzi mostrano le mutante o insultano apertamente gli insegnanti in quanto percettori di stipendi miserabili.... Vedo i presidi immobili e impotenti per timore di ritorsioni o di perdere studenti o di finire sui giornali.

Vedo medici negli ospedali che rifiutano di operare per timore che un qualunque pretesto accampato dai parenti dei degenti li costringa a ingenti risarcimenti. E vedo parenti calcolare il sistema di spillare più quattrini possibili dalla malattia dei congiunti. Li vedo indignarsi di fronte alle lettere di dimissioni dei parenti non autosufficienti perché costretti a farsene carico...

Vedo bar che vendono mentine e sigarette collocare 3-4 slot machine alle quali siedono pensionate e pensionati fin dalle 9.00 di mattina. Vedo aprire sale gioco in quartieri residenziali dove vivono famiglie con figli giovani e incerti.

Vedo i giornali seri di questo paese zeppi di pettegolezzi e nudità femminili; li leggo inneggianti e privi di indignazione in merito alla condotta fuori le righe di calciatori, rampolli di imprenditori, vallette. Li vedo oscuramente osannare lo stile di vita di questi personaggi, le loro vacanze, le loro automobili, i loro vestiti.
In generale i mezzi di informazione sono improntati ad esclusiva esaltazione di novità tecniche/tecnologiche, mode e tendenze, attività di svago e divertimento.... mentre su impegno, dedizione, altruismo, responsabilità, scetticismo, determinazione non è spesa che mezza parola, quasi per sbaglio e sempre in riferimento a qualche tema religioso/pietistico/sociale percepito comunque come lontano e incomprensibile. Fiction e programmi televisivi sono improntati secondo le stesse logiche appena descritte.

Vedo manifestazioni e proclami a difesa di minoranze di qualunque tipo sempre e costantemente sopra le righe, all'insegna della devastazione dei giudizi consolidati e del ragionamento coerente, concepiti come tradizionali e convenzionali e pertanto nemici. Quasi che giudizio e ragionamento coerente non potessero in alcun caso portare vantaggio a una causa minoritaria.

Leggo i regolamenti di tanti comuni italiani e vi riconosco solo pratiche coercitive, punitive e di tutela degli interessi economici di negozianti che vendano alcolici e residenti in possesso di un garage nel centro storico, quasi che la città non fosse un luogo di convivenza civile reale ma un luna park, un grande centro commerciale o un museo: un luogo in cui spendere denaro sporcando nella misura prestabilita.
Vedo i comuni tollerare serate dedicate alla diffusione di superalcolici fra i giovani o agli acquisti a metà prezzo, sempre in nome dei vantaggi economici connessi. E li vedo penare per investire anche un solo spicciolo in manifestazioni culturali impegnative, sempre viste come "parziali" rispetto all'imparzialità del denaro. Sento le organizzazione formate a tutela degli interessi di negozianti o residenti chiedersi: "A chi interessa? A chi serve?" e non sento rispondere nulla da chi avrebbe l'obbligo di dire qualcosa...

In altre parole vedo una tolleranza diffusa, uno sfruttamento da non ostacolare, e anzi un invito/esaltazione di avidità, indecisione, impreparazione, superbia, vanterie, pressapochismo, arroganza, superficialità, ingenuità, corruttibilità. Vedo associazioni, rappresentanti, giornali, opinionisti, pubblici ufficiali, accademici difendere le molteplici manifestazioni popolari di tutti questi difetti. Vedo tutti costoro tollerare solo ciò che ha risvolti economici - l'imparzialità del denaro - e bollare come "tradizionalista", "vetero-cattolico", "conservatore", "noioso", "idiota", "miope", "ottuso", "perbenista", "conformista", "bigotto e ignorante" ogni sostenitore di comportamenti dettati da principi, da senso del dovere, da senso di correttezza, da sobria ragionevolezza, da un senso del decoro percepito dal senso comune non deviato, prima ancora che descritto o descrivibile in modo articolato.

Io vedo tutto questo e mi chiedo che senso possa avere indignarsi o meravigliarsi se le stesse persone esposte a tutto ciò, alle quali ogni nefandezza morale è offerta e garantita quando non rivestano alcun ruolo pubblico, non diventano per magia dirigenti lungimiranti e onesti nel momento in cui devono occuparsi del bene pubblico.
Ma vi pare sensato?

martedì 26 novembre 2013

Fukushima e la Terra dei Fuochi... qualcosa in comune

Alcuni economisti e geografi amano soffermarsi sui concetti - invero assai astratti - di società rigide versus società flessibili, ovvero società a gestione centralizzata e ordinata versus società a gestione policentrica e caotica.
Esempi di società umane del prima tipo si troverebbero in Asia, e specificamente in Cina e in Giappone; esempi di società del secondo tipo sarebbero in Europa, per esempio in Italia e Francia.
Tipicamente una società rigida è molto efficiente e altamente competitiva sul breve periodo e ha il suo limite principale nell'eccessiva centralizzazione: quando il centro decide tutto e la periferia esegue senza un sussulto, una decisione sbagliata del centro ha ripercussioni incalcolabili e inevitabili sul destino dell'intero sistema. Un esempio lampante di questo è il dorato isolamento voluto dalle classi dirigenti giapponesi e cinesi durante parte del basso medioevo e tutta l'età moderna... l'isolamento provocò una stasi tecnologica che nell'ottocento mise i popoli orientali - in precedenza tecnologicamente superiori - in balia dell'Europa occidentale.
Viceversa una società flessibile, o caotica, è poco competitiva e disorganizzata sul breve periodo, ma è capace di rapidi cambiamenti ed evita di incorrere troppo a lungo in errori macroscopici. L'esempio è l'Italia rinascimentale divisa, anarcoide, faziosa ma anche inventiva e fucina del futuro europeo.

Orbene i fatti recenti in due luoghi del mondo molto distanti fra loro sembrano confermare questa tesi: mi riferisco a Fukushima (località giapponese nella quale una centrale nucleare, investita da un'onda anomala, ha fuso il nocciolo radioattivo inquinando in misura non ancora calcolabile le acque dell'Oceano Pacifico e la terra circostante) e alla cosiddetta Terra dei Fuochi in Campania (dove per decenni la malavita italiana ha interrato i rifiuti di mezza Europa).
1. Entrambe le località sono interessate da fenomeni di inquinamento della terra e dell'acqua causati dall'uomo e pressoché irreversibili.
Nel caso di Fukushima, l'inquinamento è stato prodotto per volontà centrale, dalla politica economica di uno stato che ha preso decisioni mirate; nel caso della Terra dei Fuochi, l'inquinamento è il frutto di una decisione decentrata, illegale, caotica e alternativa rispetto al potere centrale... decisione a cui il potere centrale non ha saputo/potuto opporsi.

(- inciso nazionale: vale la pena si notare che molti italiani non accetterebbero di porre la questione in questi termini perché direbbero: Fukushima è una disgrazia... ovvero quando il "Caso" intralcia l'opera di uomini di buona volontà; laddove invece la Terra dei Fuochi è un crimine, ovvero l'opera di uomini malvagi. Serve dire che tale impostazione è sommamente ingenua? Come se la Costituzione di un paese e l'ordine pubblico fossero qualcosa di più sacro di una mera convenzione... utilissima, ma pur sempre, solo, una semplificazione della realtà, con tutti i rischi e i limiti del caso)

2. Dietro le catastrofi di Fukushima e della Terra dei fuochi c'è una chiara e dichiarata motivazione economica. La centrale nucleare giapponese e il traffico di rifiuti italiano hanno arricchito singoli individui e intere comunità... di conseguenza hanno prodotto coesione sociale, benessere, ordine pubblico, contribuendo indirettamente a far prosperare molte attività non inquinanti.

(- secondo inciso nazionale: mi si dirà che in effetti senza il caso dello tsunami, l'incidente di Fukushima non ci sarebbe stato, laddove l'esistenza della Terra dei Fuochi non dipende da alcun frangente naturale. Rispondo che questa è proprio la differenza fra società rigide e flessibili. Se nel 1853 il commodoro Matthew Perry non fosse arrivato con le navi da guerra nel porto di Edo, il Giappone sarebbe ancora un arcipelago isolato dal resto del mondo? Probabilmente no, perché qualcun altro sarebbe arrivato a Edo al posto di Perry. Analogamente, se Fukushima non fosse stata investita da uno tsunami sarebbe ancora in funzione? Forse sì, ma rappresenterebbe ancora un problema irrisolto perché "invisibile" ai giapponesi, e prima o poi sarebbe andata com'è effettivamente andata. Viceversa, il problema della Terra dei fuochi è sempre stato visibile, e odorabilissimo, agli abitanti della Campania, e malgrado ciò per molto tempo nessuno vi si è opposto, si è ribellato perché in una società policentrica nessuno - nemmeno un boss della mala - riesce a imporre a tutti ed efficacemente una decisione radicale a meno che questa non rappresenti un vantaggio per molti individui all'interno della comunità. Questa è una differenza interessante... e più concreta di quella fra decisioni "legali" e "illegali")

3. Nella loro drammaticità, entrambi gli eventi di cui parlo hanno avuto dei risvolti positivi anche sul piano ambientale. Quali risvolti? Le centrali nucleari in Giappone hanno contingentato il consumo di combustibili fossili per produrre energia. Le discariche abusive in Campania hanno consentito al nord Italia e al nord Europa di liberarsi di milioni di tonnellate di rifiuti pericolosi continuando a produrre in ambienti relativamente "puliti". Mi si chiederà se sto scherzando... certo che no! La concentrazione degli effetti negativi delle attività umane in un unico punto, anziché la loro diffusione su ampia scala, è una delle maggiori e più decantate efficienze della società e dell'economia contemporanee: si chiama "contenere il danno", "limitare gli effetti dannosi", e le due società tipo qui considerate l'hanno fatto egregiamente, sia pure con mezzi diversissimi. Si sono appropriate del business del "contenimento"... chi altro l'ha fatto? Quali colpe, fra le sue, sono un po' anche di altri?

4. Ma il vantaggio non finisce qui: sia Fukushima che la Terra dei Fuochi sono "esiti" ereditati dal passato, non sono "eventi" frutto di un mero presente. I rifiuti campani si sono accumulati negli anni ottanta e novanta; la centrale di Fukushima fu costruita negli anni sessanta. Nel frattempo, e proprio mentre le centrali nucleari e le discariche abusive si occupavano di "contenere il danno", si è diffusa una diversa concezione dei rifiuti solidi, il riciclo, la raccolta differenziata, il contenimento degli imballaggi; si sono diffuse l'energia fotovoltaica, la geotermia e altre tecnologie alternative al nucleare.

Una cosa che potremmo chiederci è questa: sappiamo sfruttare abbastanza bene le caratteristiche di rigidità e flessibilità che ci caratterizzano? Se nei popoli orientali il fatto di "sfruttare bene" qualcosa è insito nella natura stessa dell'essere società rigide; non altrettanto si può dire nei popoli occidentali. La mia intuizione è che la flessibilità debba essere sfruttata con la flessibilità, ovvero con la limitazione delle decisioni centralizzate a vantaggio delle iniziative singole e locali.

lunedì 18 novembre 2013

Segnali di decadenza: la delega di responsabilità

Leggo da mesi ormai le prediche di Galli della Loggia sul corriere in merito alla mancanza di una classe dirigente italiana. Molto è condivisibile, altro (poco) lo è meno; la cosa meno condivisibile è descrivere l'Italia di alcuni decenni fa come un luogo etico, ben organizzato, onesto, laborioso, privo dei difetti morali grandi e piccoli dell'oggi, affollato di gente in grado di provare sentimenti di onore e di vergogna... e contrapporle l'Italia di oggi svuotata e moralmente desertificata.
La debolezza di questo argomento dipende dal fatto che esso riprende il tòpos antico dell'età dell'oro, che degrada via via in età sempre più deprezzate e false. Ma si tratta di un luogo letterario, non di una valida descrizione della realtà; di una descrizione metaforica, priva risvolti pratici anche mediati, sebbene ricca di enfasi e pathos.
Io valgo e capisco molto meno di Galli della Loggia (il cui solo nome fa tremare), tuttavia dirò quel che penso: penso che i decisori italiani di oggi abbiano un solo grande difetto rispetto a quelli del passato: non decidono nulla.
La prima ragione per non decidere è il fardello della responsabilità connessa alla decisione. La scarsa considerazione di sé dei miei connazionali produce un curioso effetto: nessuno vuole prendersi la responsabilità di fare alcunché per non rischiare di essere accusato da qualcun'altro di inadeguatezza. Conseguentemente, appare logico e inevitabile, anche ai più intelligenti fra i miei connazionali, delegare le decisioni - non farsene carico - perché qualcun altro più preparato e adeguato possa occuparsene.
Si badi che stiamo parlando di una logica di ossequio al potere tipica di questo paese: se c'è un problema, chi deve occuparsene è chi può occuparsene, e non tutti possono... In linea di massima - questa è l'ultima tendenza - se chi se ne sta occupando è persona nota solo nell'ambito dei confini nazionali, allora si tratta di persona inadeguata; di persona che non può occuparsene.
Quanta differenza in questo con la logica statunitense o russa o tedesca o inglese! In tutti questi paesi si tende a fidarsi solo di connazionali, nei ruoli chiave delle decisioni, e si tende a diffidare degli stranieri e dei compatrioti fuoriusciti... il contrario che da noi.

Mi viene in mente un esempio di quanto ho detto: l'uscita dall'euro. Io non sono particolarmente euroscettico, ma determinati argomenti a sostegno dei benefici dell'Unione Europea mi irritano e disgustano.
Se un ingenuo interlocutore accenna ai vantaggi per l'Italia di un'eventuale uscita dall'euro, trova immediatamente il giornalista/opinionista di turno che lo avverte/minaccia dicendo che se l'Italia uscisse dall'Euro dovremmo tornare a controllare il saldo fra import ed export e a fare attenzione che il primo non superi il secondo per più di un trimestre.... la bilancia dei pagamenti. Dovremmo seguire il cambio. Ma ci rendiamo conto quale immenso carico di lavoro e di responsabilità ciò significherebbe? Il ragionamento implicito è che invece ora, essendo nell'euro, scarichiamo questa responsabilità su quanti si occupano della bilancia commerciale della UE... e non dobbiamo occuparcene. In sostanza l'opinionista si sofferma non sul vantaggio tangibile in termini economici ma su un vantaggio relazionale, uno sgravio pratico ma anche intellettuale e morale. Quasi dicesse: preoccuparsi è fatica, meglio lasciar fare agli altri.
E magari lo stesso opinionista si interroga, qualche giorno dopo, sui motivi del laissez faire e sulla corrività delle classi dirigenti italiane...

La cessione di sovranità all'Unione coincide in Italia con una parallela cessione di responsabilità decisionale... in tal modo noi tutti torniamo bambini e ci aspettiamo di essere protetti e accuditi da chi, pur non avendo particolare interesse nei nostri confronti, ha la capacità, la competenza per accudirci.
Nell'apprezzare la cessione della responsabilità decisionale l'intellettuale italiano trova il proprio ambiente ideale: un ambiente cortigiano in cui il poeta e l'onesto storiografo possono elogiare le decisioni già prese e costituite e deprecare l'azione del cortigiano infedele, del consigliere impreparato, avido o traditore che nulla sa e qualcosa di nuovo e difficile vorrebbe decidere. E Galli della Loggia, pur chiamandosi fuori dalle voci elogiative, nella sua affettata indignazione contro i "nostri" cortigiani, partecipa allo stesso gioco di cui critica i risultati.

venerdì 8 novembre 2013

Da esterofili a espatriofili - segnali di marginalità

Gli italiani, si dice, sono da sempre autodenigratori ed esterofili. Ce l'hanno nel sangue l'ammirazione-invidia per i vicini, da prima dell'unità nazionale. Ne fornisce una riprova indiretta l'emigrazione fra XIX e XX secolo che ha portato gli italiani in mezzo mondo: con maggior fortuna (USA, Germania, Australia) o minore (Argentina, Africa). Gli italiani se ne andavano in cerca di una terra migliore, meno avara, meno dura, più ampia e generosa della patria; dove la gente fosse più efficiente e rispettosa, le gerarchie meno immobili e severe, lo Stato non padrone crudele, ma padre premuroso.

Eppure, per alcuni versi, la cosa non è poi tanto vera...
Negli ultimi due anni si afferma un atteggiamento mentale curioso: l'esterofilia si trasforma in espatriofilia... a essere bravi non sono più gli stranieri, ma bensì gli italiani che vanno all'estero. Non importa cosa fanno realmente: se sono capitani d'industria o premi nobel per la fisica oppure, banalmente, bibliotecari, opinionisti, cuochi o addirittura camerieri diplomati: l'importante è che lo facciano in America o a Singapore.
Ieri c'era su una rivista l'ad della Fiat (qui) che premiava una dozzina di "talenti" italiani-in-USA (non italoamericani, che sono tutt'altra cosa) i cui profili non hanno oggettivamente nulla di invidiabile o particolarmente talentuoso rispetto a migliaia di italiani in patria.
Ora, io ricordo bene la formidabile efficienza dei tedeschi nelle parole di mio nonno; e trovo ancora accenti simili in uomini di mezza generazione successiva (settantenni). Di converso, negli uomini miei coetanei (37) e nei giovani, ma forse ancora di più nei miei genitori e loro coetanei, riscontro invece entusiasmo per coloro che se ne vanno, ammirazione, orgoglio ("i ricercatori italiani sono i migliori", "gli italiani all'estero sono apprezzati", "italiani fra i più preparati" ecc...); questo atteggiamento fa pendant con il periodico sfoggio massmediatico dei trionfi italiani nel passato, in coppia col quale l'espatriofilia acquista perfino una punta di nazionalismo elitario.

Sul piano individuale, il giovane italiano che va all'estero e/o chi ve lo spinge (i genitori) concepiscono come un torto la mancata affermazione di sé e/o del rampollo nella terra ricompresa dai confini nazionali (torto dimostrato dal semplice fatto che i genitori sono gente affermata e benestante, mentre i figli sembra non ce la facciano), e pertanto ne decantano le virtù in paesi lontani, dove nessuno del giro può comunque controllare.
A livello generale tale atteggiamento si trasforma in un crescente inneggio al se lontano che è diametralmente opposto al disprezzo o compatimento o pietà del se lontano che meditavano le famiglie degli emigranti all'inizio del XX secolo. Della mamma di Marco, protagonista dagli Appennini alle Ande, si diceva così: "poveretta è andata in Argentina a lavorare"; oggi sul giovane bisnipote di Marco si direbbe così: "nel suo ramo è il migliore; è andato in Cina a lavorare".
Ecco, siccome m'ero ripromesso di individuare i segnali della patria decadenza, questa espatriofilia è uno di quelli: una versione alternativa dello stesso complesso di inferiorità che era dei vecchi migranti italiani e che è dei nuovi immigrati in Italia. Ma forse con un peggioramento: checcé ne dicano i guru del marketing e della programmazione neurolinguistica, il "sapere di non sapere" è ammonimento più saggio del "credere di saperne più degli altri".

[modifica 11 Novembre] Eccone un altro sul Fatto Quotidiano

Destra, sinistra e codici di condotta

La polarizzazione destra/sinistra nell'occidente contemporaneo è uno strano anello ricorsivo. L'economia non vi gioca quasi più alcu...