lunedì 23 dicembre 2013

Russia e Italia, andata e ritorno al feudalesimo

Feudalesimo e rivoluzione in Russia
E' forse abbastanza noto che la rivoluzione russa del 1917 non avvenne in un paese dominato dalla classe borghese, come avrebbe voluto il materialismo storico, bensì in un impero monocratico dominato da un'aristocrazia feudale in disfacimento. E' importante ricordare questo fatto perché fra le molte "inesattezze" e i numerosi "abbagli" della teoria marxista c'è pure questa: la necessità di una fase borghese come preludio al dominio della classe operaia.
Dunque, in Russia avvenne che l'aristocrazia feudale fu cancellata e subissata e sostituita con un sistema completamente nuovo. O almeno: in apparenza nuovo. In realtà pochi mesi, al massimo pochi anni, dopo la rivoluzione e al netto di guerre e carestie intercorse, i rivoluzionari russi riproposero sotto altra veste l'unico sistema politico che la civiltà russa avesse conosciuto e metabolizzato fino ad allora: il feudalesimo. Il risultato fu che i principali funzionari e mandarini del partito occuparono le alte cariche dello stato sovietico... le stesse alte cariche che, prima della rivoluzione, erano detenute dai nobili di campagna - secondo il grado - trasferiti a San Pietroburgo. In sostanza la rivoluzione ripropose una nuova edizione del libro russo, cambiando la copertina, i font, le dimensioni della pagina, ma lasciando immutato il contenuto.
Vogliamo una riprova? Non appena l'URSS finì disfatta (1991), per prima cosa i grandi burocrati del KGB e vicini al comitato centrale si appropriarono in forma monopolistica delle ricchezze russe, diventando i cosiddetti "oligarchi", l'ennesima riedizione della stessa figura di aristocratico feudale.

... e in Italia?
Dopo la fine della II guerra mondiale, l'Italia era a metà del guado. La maggior parte del paese (a nord ma anche a sud) aveva abbandonato da secoli il feudalesimo ed era nata una classe borghese o almeno protoborghese. Forse limitata nei mezzi e indebolita dalla lunga frammentazione politica della penisola, ma per il resto borghesia a tutti gli effetti, o aspirante tale. In parti minoritarie del paese, soprattutto in alcune campagne meridionali ma anche in enclave settentrionali, permaneva il dominio di un'aristocrazia terriera non molto diversa dalla feudalità.
In precedenza, la rivoluzione industriale per prima aveva provveduto a far metabolizzare agli italiani il passaggio dal dominio terriero al dominio economico borghese. Successivamente il fascismo fu, per molti versi, un reflusso di tale processo... un estremo tentativo della possidenza e della piccola borghesia di occupare i luoghi di potere dello stato in modo aristocratico ovverosia imponendo se stessi sugli altri e attribuendosi una superiorità legalizzata, trasmissibile e familiare, inappellabile e sprezzante. Questa prospettiva affascinava molti vecchi fascisti anche delle classi apparentemente più liberali come i professionisti. Il tentativo andò male complice l'egocentrismo del capo e la guerra fallimentare contro le potenze liberali.
Ma torniamo al dopoguerra. Dagli anni cinquanta in poi, come noto, gli intellettuali italiani e la cultura italiana furono sempre più marcatamente dominati dal pensiero di sinistra/bolscevico. Lo spazio del pensiero liberale, ma anche quello di un vero socialismo riformista (troppo sarebbe dire "keynesiano") compatibile con un sistema economico libero, furono sempre più compressi; alla peggio potremmo dire che neppure esistettero mai. La fine degli anni sessanta e gli anni settanta videro il culmine del dominio dell'intellighenzia di sinistra.
Tale intellighenzia aveva nell'Unione Sovietica, da principio esclusivamente poi con qualche voce critica prontamente stroncata, il proprio faro, ovvero il "sole" dell'avvenire... malgrado tutto ciò di violento e inopinato in azione oltrecortina fosse cosa nota. Il dominio della cultura di sinistra filosovietica continuò a esistere anche negli anni ottanta (e udite, udite, ancora oggi ne sopravvivono corposi - è il caso di dire - "residui").
E qui veniamo al vero problema: il modello statale sovietico, che in realtà era una riedizione del feudalesimo russo, divenne per molti intellettuali italiani un modello DA IMITARE, EQUO, AMMIREVOLE! Col bel risultato che i ragazzotti occupanti le piazze negli anni sessanta e settanta, passati agli uffici pubblici di ogni ordine e grado hanno riproposto al paese, per decenni, il modello sovietico-feudale: impiegato pubblico = buono e dotato di un impiego desiderabile e inalienabile; dirigente pubblico/professore ordinario / magistrato / primario / generale = buonissimo e inappellabile, con blandi o anche forti diritti di carica e nepotistici; rappresentanti del popoli (politici) = buoni e onesti solo se intenzionati a difendere e promuovere il sistema "feudale", altrimenti cattivi perché al servizio dei cattivi; grande imprenditore = cattivo, affama-popolo, doppiogiochista, sfruttatore, pronto alla fuga; piccolo imprenditore / contadino proprietario = cattivo, evasore, furbo arraffatore, ignorante analfabeta.
Insomma l'intellighenzia italiana ha riportato il feudalesimo in Italia suggendolo direttamente dalle mammelle della grande madre Russia. L'esito è un paese, il nostro, immobile, retrocedente anziché incedente. E non mi pare possibile uscirne fino a che non sarà scomparsa l'intera generazione che prese a campione un così cattivo modello per plasmarsi su di esso.   

venerdì 20 dicembre 2013

Il reddito di Bortolussi, paladino dei poveri artigiani...

Apprendo dal quotidiano locale che il sig. Giuseppe Bortolussi è il più facoltoso consigliere regionale del Veneto. Il suddetto vanta niente po' po' di meno che 619.800 euro (pari a circa 24.600 euro NETTI al mese, senza calcolare la diaria dei consiglieri regionali) di reddito imponibile relativo all'anno 2012.
A informarsi su chi sia costui, bisogna dire che la notizia sorprende un poco. Bortolussi svolge la professione di "segretario" della CGIA di Mestre, una potente società collaterale della Confartigianato Veneta.
Quello che sorprende è il fatto che un giorno sì e un giorno no il centro studi della CGIA di Mestre occupi i giornali, le TV e le radio con scoppiettanti news relative a quanto gravino le tasse e le imposte su artigiani, piccole e piccolissime imprese... che insista su quanto sono bassi i redditi medi reali di detti piccoli imprenditori. Ora, che il segretario di tale organizzazione, la quale evidentemente si regge sulle tessere degli iscritti alla confartigianato, guadagni venti o trenta volte il reddito medio di un artigiano può lasciare un po' perplessi. Altri direbbero meravigliati... eppure è proprio così.
Rimaniamo in attesa di sapere, da una delle news del centro studi CGIA di Mestre quanto pesi nelle tasche di ciascun artigiano il reddito del sig. Bortolussi... al netto e al lordo dello stipendio di consigliere regionale e magari aggiustando detta cifra sui risultati, in termini di calo della pressione fiscale, ottenuti dalle campagne martellanti della CGIA...

martedì 17 dicembre 2013

E dài con l'esortazione a emigrare!

Non accenna a smaltirsi l'esaltazione nazionale e massmediatica per i giovani italiani che cercano fortuna all'estero. Si tratta di un fenomeno che dovrebbe essere contrastato, criticato, analizzato amaramente da chi ha a cuore le sorti del paese.
Invece è un fenomeno che gli opinionisti, i giornalisti, i politici, gli imprenditori e perfino i camionisti e le massaie esaltano; tutti esortano i giovani ad andarsene ed esaltano chi li esorta... possibile?
L'emigrazione è da sempre una valvola di sfogo del malcontento sociale. Ciò significa anche che i paesi che risolvono il proprio malcontento per mezzo dell'emigrazione evitano di dover prendere provvedimenti più drastici (leggi "riforme vere") per contrastare lo stesso malessere. In altre parole, ho l'impressione che coloro che inneggiano all'emigrazione siano soprattutto interessati a risolvere i problemi italiani senza dover cambiare nulla a proprio detrimento. Solo in questo modo si spiega l'esaltazione di tanti sessantenni per i giovani che se ne vanno; come dire: "andate, andate... andate a rompere i coglioni da un'altra parte"... sublime tecnica, non c'è che dire...

martedì 3 dicembre 2013

Controcorrente: e se fosse lo stato a pagare le tasse ai cittadini?

Premetto che considero il reddito di cittadinanza un'aberrazione. L'unico argomento a suo favore è di ordine economico: porre milioni di cittadini nelle condizioni di concorrere alla macchina dei consumi. Forse tale effetto potrà aiutare il paese a uscire dalla crisi economica (io ne dubito); ma sicuramente si tratta di una scelta fondamentalmente immorale. Qui non si parla di pensioni, ovvero la giusta rendita accumulata da un lavoratore nel corso della sua vita professionale erogatagli nel momento in cui egli o ella non sia più in grado di lavorare. Non si parla nemmeno di pensioni di invalidità o di sostegno alla disabilità, altrettanti aiuti a persone che si trovano in oggettive difficoltà fisiche o mentali. No, con il reddito di cittadinanza parliamo di fare la carità (di più non sarà possibile) a milioni di persone che non sono troppo vecchie, né malate, né disabili, né infortunate e nemmeno pigre o deviate... Questa non può essere una soluzione moralmente accettabile nel XXI secolo! E' una roba da antico Egitto, da antica Roma. Assomiglia ai tributi in argento che Atene erogava ai suoi cittadini grazie alle miniere del Laurio. Assomiglia al panem et circenses.
Le scelte politiche immorali, se possono forse pagare sul breve periodo, sono sempre dannosissime sul periodo medio-lungo.
Piuttosto riduciamo del 50% la spesa pensionistica, portando tutte le pensioni di ogni ordine e grado a livello delle pensioni minime. Con quello che si risparmia si taglia la fiscalità sulle imprese consentendo loro di aprire e assumere. Piuttosto riduciamo del 10% tutti gli stipendi del settore pubblico sopra i 20.000 euro e con i risparmi facciamo quello di cui sopra.
Ciò premesso, mi piace talvolta indugiare nell'idea del mondo alla rovescia. L'idea di mondo alla rovescia è altresì detto, con espressione raffinata: "applicare un paradosso".
La nostra civiltà occidentale si trova al culmine di un frangente storico perfezionatosi nell'era contemporanea ma le cui radici affondano nel medioevo. In tale frangente storico i cittadini delegano la sovranità a un potere superiore al singolo (prima era Dio, per interposta persona, oggi è una carta sovrana e la "volontà del popolo"). L'esercizio di tale sovranità avviene con un procedimento pressoché invariato fin dall'era feudale: il cittadino paga un tributo e l'autorità eroga un servizio. Nel medioevo il servizio era la protezione (imposta) e il diritto di sfruttare la terra (tassa-concessione); il tributo avveniva tramite conferimento di beni o prestazione di servizi. Oggi i tributi sono imposte e tasse e i servizi sono sanità, scuola, strade, difesa militare ecc.
Sintetizzando oltremisura potremmo affermare che il sistema applicato consiste nello scambio di beni/servizi molto liquidi (singole prestazioni, beni alimentari o denaro) contro beni/servizi molto strutturati e poco monetizzabili (servizi generali, servizi e beni necessari in misura imprevedibili). Su questo punto le differenze fra sistemi liberali e sistemi dirigistici esistono ma non sono di ordine essenziale. Anche gli Stati Uniti e il Regno Unito erogano ai loro cittadini servizi non immediatamente monetizzabili, in momenti e per ragioni difficilmente prevedibili e quindi non quantificabili a priori. La "non-quantificabilità" è la cifra di tutti i servizi erogati dagli stati moderni; ed è al tempo stesso il tallone d'Achille di chi detiene la responsabilità politica.


Destra, sinistra e codici di condotta

La polarizzazione destra/sinistra nell'occidente contemporaneo è uno strano anello ricorsivo. L'economia non vi gioca quasi più alcu...