mercoledì 29 gennaio 2014

Con troppe cerimonie

Forse questo blog potrebbe occuparsi solo dei rapporti fra letteratura e politica.

Uno dei libri fantasy più pallosi che mi sia capitato di leggere è Tito di Gormenghast (Titus Groan), in cui autore - Mervyn Peake - si profonde ogni due paragrafi in elaborate e interminabili descrizioni di giochi di luce sulle più svariate superfici. Potrebbe forse piacere a un esperto di rendering con la passione per gli aspetti metafisici del suo lavoro.
Ho commesso la doppia insensatezza di leggerlo e di farlo in traduzione italiana, laddove invece leggendolo in inglese avrei almeno arricchito il mio lessico e colto le sfumature linguistiche originali.

Ad ogni modo, malgrado le palle enfiantesi, ho letto tutto Tito di Gormenghast (il primo della trilogia, gli altri due mi rifiuto... per ora) perché si tratta, in seconda o terza istanza, anche di un romanzo "politico". Descrive un regno decaduto, decrepito e fatiscente, polveroso, marcio, crollante su se stesso, sprofondante in rovina. Poiché siffatti aggettivi ed espressioni si adattano sommariamente bene alla nostra civiltà occidentale e sommamente bene alla specifica realtà italiana, mi sono detto che Tito era un romanzo potenzialmente sorprendente (...almeno per me).
E in effetti l'aspettativa non è andata del tutto tradita. Cito un passaggio esemplare:
[continua... trovo la citazione da riportare]

venerdì 24 gennaio 2014

Il candidato sindaco

Ieri incontro pubblico del principale candidato sindaco nella città in cui risiedo.
Credo di non aver condiviso nemmeno una delle cose dette da costui... e dire che è un rappresentante del partito al quale, per bene o per male, sono più vicino (evidentemente non è così).
Tre "cose" in particolare mi hanno fatto sorridere amaramente:
1. l'America
2. l'ospedale
3. (legato al 2.) il Comune come un'azienda

1. Fa proprio ridere sentir parlare dai politici italiani, di qualsiasi taglia, quando non addirittura da rappresentanti sindacali o delle imprese, di "come fanno in America..."; oppure "sapete come fanno in America?"... e via con l'aneddoto di turno a rivelare quanto siano seri, ingegnosi e diretti gli statunitensi.
A me queste uscite fanno pensare a un tonno che dicesse agli altri tonni: "avete fame? Non sapete cosa mangiare? Non sapete come fanno le aquile?" "le aquile fanno così... piombano dal cucuzzolo della montagna e acchiappano la tartaruga vicino alle radici delle sequoie giganti", e mi vedo gli altri tonni che se la bevono contenti...!!! Esiste una distanza siderale fra Italia e America fra la concezione di cosa pubblica, libertà individuale, libertà politica, ruolo dello Stato nei servizi e nell'economia, ecc. ecc. e davvero questi nostri nemmeno si vergognano di citare continuamente l'America? Se parlassero del paese di Bengodi dove il mare è "de tocio e i monti de polenta e sai che tociade!" avrebbe lo stesso valore intellettuale dell'esempio americano.
Il ridicolo diventa clownesco quando il politicante di turno addita "il monstrum economico prodotto dall'ultraliberismo e dalla troppa deregulation". Dico io: un'obiezione del genere andrebbe bene se il liberismo in Italia stesse al 50% e negli USA al 100%... allora uno si chiederebbe: "è il caso di portare l'Italia al 75%?" Ma poiché il liberismo in Italia sta sì e no al 3% e si discute se portarlo al 5%, allora io mi chiedo che senso abbia sprecare il fiato contro gli eccessi del liberismo...

2. Il candidato: "Io credo nel forte investimento nell'ospedale, perché Padova è città di servizi avanzati e la clinica universitaria padovana attira già oggi moltissimi pazienti dalle altre aziende sanitarie nazionali, le quali poi rimborsano l'ASL padovana, creando quindi entrate. Inoltre si alimenta l'indotto..." Tutto bello, tutto bene. Solo che non è il suo ruolo. Il sindaco di una città dovrebbe occuparsi dei bisogni diretti di cittadini e imprese, non dello sviluppo industriale dei servizi e quant'altro. Non gli si chiede di avere una "strategia economica", perché ciò implica un esborso di capitali pubblici i quali devono arrivare dalle tasche dei privati e gravare sul sistema, e alimentare il pubblico sperpero e le clientele e tutto lo schifo che il sistema pubblico è in grado di produrre. Io mi chiedo: e se per caso le magnifiche sorti e progressive presenti nella "strategia economica" del sindaco dovessero rivelarsi fallimentari? Ciò non produrrebbe forse enorme nocumento per tutti...?
Ma, si dirà, un sindaco deve preoccuparsi delle infrastrutture, del "territorio". Sì, ma non deve ricamarci sopra... deve rispondere a esigenze concrete presentategli dall'industria e dai servizi, dal mondo economico privato. Non può muovere capitali in base a ciò che a lui sembra un buon investimento. Perché lui può benissimo sbagliare, ma lo faccia coi soldi suoi, non coi nostri.
Anche questo è un morbo radicato nei nostri rappresentanti eletti e nei dirigenti pubblici: si sentono strateghi, finanziatori di start up infrastrutturali, sentono su di loro l'imperativo della "visione", non ci provano nemmeno a candidarsi senza "visione". Magari avessero una vera "visione", soprattutto sui rapporti fra gli individui e fra individui e ambiente naturale/sociale/urbano. Invece la loro "visione" assomiglia molto al sogno di contabile senza fantasia e non fa che perpetuare il danno atavico.

3. Pochi individui sono ridicoli quanto un burocrate che si creda imprenditore.
Il candidato ieri: "... perché guardate che anche il Comune farà quello che potrà fare. Chi promette mari e monti senza guardare in cassa vi prende in giro. I soldi che ci sono quelli sono, il Comune sapete è come un'azienda e come fa un'azienda a migliorare i suoi bilanci? Aumentando gli investimenti che rendono oppure vendendo rami... Non c'è altra soluzione...".
Veramente ci sarebbe un'altra soluzione, benché peccaminosa che bisogna poi confessarsi come di un pensiero immondo: tagliare le spese! Ma questa terza soluzione è ovviamente esclusa in partenza, direi addirittura inconcepibile in un pubblico rappresentante. "Licenziare dipendenti pubblici" o "demansionare" o "ritabellare" gli emolumenti o azzerare le retribuzioni da posizione sono bestemmie nemmeno da pensare, figurarsi da pronunciare. In questo nostro comune di 200 mila abitanti ci sono una quarantina di dirigenti comunali che guadagnano oltre 100 mila euro l'anno e che quindi costano al comune almeno 160-180 mila euro l'anno ciascuno. Perché non iniziamo a portarli tutti a costare 120.000 € l'anno (dando loro circa 75.000 euro di lordo l'anno...)? Quanto risparmieremmo signor candidato-imprenditore? Quante aziende private hanno 40 dirigenti così costosi? E quanti dipendenti hanno queste aziende? Di più o di meno del Comune di Padova? Vengono i brividi solo a pensarci...

martedì 21 gennaio 2014

L'errore di Grillo

L'acredine nazionale contro la classe politica ha raggiunto il suo apice ed è sostenuta da disoccupazione, cassa integrazione, elevata tassazione, elevata burocrazia, slogan demagogici e populistici.
Il blog di Beppe Grillo e il suo movimento sono genitori morali di questa situazione, continuano ad alimentarla, a trarne consensi e a renderla endemica.
Peccato che in termini di rapporto fra cittadini, istituzioni e delega di sovranità si tratti di un errore strategico madornale.
Dunque, ricapitolando la situazione della sovranità italiana:
il cittadino elegge rappresentanti ai quali delega la propria sovranità. Oltre a fare altre cose, tali rappresentanti svolgono (o dovrebbero poter svolgere) una funzione di tutela degli interessi dei cittadini tutti di fronte allo Stato e ai suoi funzionari, i quali possono concretamente prendere decisioni che influenzano ogni giorno l'intera collettività e i singoli.
La funzione di tutela svolta dai politici/rappresentanti è essenziale, se non altro perché nessun altro la svolge: rappresentare gli interessi dei cittadini di fronte all'autorità dello Stato.
Perché esistono dei rappresentanti eletti anziché solo dei funzionari pubblici? A cosa servono i rappresentanti specificamente eletti e non assunti? Dovrebbero servire a limitare il potere, altrimenti illimitato, dei funzionari statali. Dovrebbero contingentare il potere dei funzionari pubblici nell'esclusivo interesse dei cittadini, cui appartiene in definitiva la sovranità su se stessi. Proprio perché svolgono questa funzione, i rappresentanti dei cittadini devono essere eletti e non "assunti"; perché devono poter essere licenziati facilmente e comunque periodicamente, per monitorare passo per passo se e come usano la sovranità dei cittadini per difenderli da un potere troppo grande e sfuggente per essere ignorato.
Per esempio, i funzionari non hanno il potere di portare il paese in guerra (come fecero invece col Patto di Londra nel 1915), di alzare le tasse, di aprire un ufficio... queste decisioni spettano ai rappresentanti del popolo.
Quindi il sistema ha, o dovrebbe avere:
1. cittadini virtualmente alla mercè dello Stato e dei suoi funzionari;
2. rappresentanti dei cittadini che, carichi di sovranità nazionale, hanno la "forza" e le "armi" per farsi paladini dei cittadini;
3. lo Stato, coi suoi funzionari, che deve vedersela con i rappresentanti dei cittadini prima di poter spolpare o angariare i cittadini stessi.
In altre parole i rappresentanti sono gli unici alleati dei cittadini contro lo strapotere dello Stato. Sono altresì l'acerrimo nemico dei funzionari pubblici. (E questo lo sanno tutti coloro che hanno rivestito qualche carica pubblica elettiva: il vero problema è ottenere una reale collaborazione da parte dei funzionari dell'ente.)
Questo vale nei rapporti economici e decisionali fra Stato e cittadino (tassazione e burocrazia), ma anche nella giustizia, nella difesa militare, nell'istruzione, nella salute, nei rapporti internazionali eccetera.
Eppure i demagoghi procedono ignorando questi dati di fatto...

... come si comporterà un funzionario pubblico, un rappresentante dello Stato, di fronte a chi attacca e danneggia i rappresentanti dei cittadini...? ovviamente gli darà corda, perché tutto ciò che danneggia il mio nemico è mio amico... tutto ciò che impedisce a qualcuno di impedire qualcosa a me io lo favorirò.
Un rappresentante eletto privo di qualsivoglia autorevolezza, e per giunta denigrato da coloro che dovrebbe difendere, come potrà svolgere con successo il suo compito difensivo? Non lo farà... il che lascerà campo libero a coloro che vogliono i cittadini alla loro mercede; a riprova: all'aumento dell'acredine antipolitica corrisponde, ormai da anni, un aumento nello strapotere dei funzionari, l'impossibilità conclamata di tagliare la spesa pubblica, l'aumento costante delle tasse... in altre parole un netto rafforzamento di tutto ciò che chiameremo Stato e istituzioni pubbliche; una loro inarrestabilità accompagnata a elusività e invisibilità degli agenti decisionali... non si sa chi decide, ma le cose accadono. Segno concreto che è lo strapotere dello Stato e dei suoi uomini a decidere tutto, non trovando alcuna resistenza.
Fa sorridere che spesso Grillo se la prenda proprio con lo Stato-funzionario, proprio con le posizioni di potere consolidate... crede davvero di danneggiarle attaccando la politica e spogliandola di credibilità? E invece fa esattamente il contrario.
Lo so che dico una bestemmia, ma solo una totale dedizione e fiducia verso un gruppo di uomini politici e verso ogni loro decisione/azione - per quanto inutile, faziosa o ambigua possa sembrare - potrebbe rovesciare le cose.

venerdì 17 gennaio 2014

Hollywood e le streghe - nuovi modelli di critica sociale

Per una serie di circostanze del tutto casuale, fra le quali prevale la noia, ho visto di recente, quasi di fila, quattro film hollywoodiani di recente fattura. Diciamo pure che si tratta di quattro film molto commerciali e appartenenti prevalentemente al genere fantascienza/distopia.
Si tratta di Elysium, In time, Hunger Games e Hunger Games 2.
Per quanto concerne il valore di questi film in quanto film (insieme di sceneggiature, costumi, scenografie, recitazione, regia) da uno a dieci assegnerei sei e mezzo al primo, quattro al secondo, sette al terzo e sei e mezzo al quarto. Ma non è di questo che volevo parlare, volevo parlare della distopia descritta in questi film.
In tutti i casi si tratta della descrizione di civiltà contraddistinte da una profondissima e pressoché incolmabile disparità sociale: masse di disperati da un lato, circoli elitari di super ricchi dall'altro.
E' evidente che siamo di fronte a film di genuina critica sociale nei quali le consuete (ma diciamo "vecchie") modalità di descrizione della disparità sociale sono completamente saltate. In particolare non esiste più alcuna forma di realismo o naturalismo che dir si voglia che fin dall'epoca del naturalismo francese dettava lo stile della critica sociale. Con questi film siamo invece tornati a qualcosa di più simile alla critica sociale per paradossi, quale si prefigurava all'epoca dell'index librorum prohibitorum: avanzare una critica, in assoluto censurabile dal punto di vista del potere costituito, ma collocandola in un contesto del tutto implausibile, se non apertamente criticato come impossibile e assurdo, per superare lo scoglio della censura. Affermare in premessa che quel che si va a dire è mera fantasia, ipotesi per assurdo... a questo assomiglia lo stile dei suddetti action movies. Il realismo, di converso, è divenuto stile di accettazione e di chiusura del singolo sul proprio mondo interiore, sulle proprie manie, rifiuto di affrontare in qualsivoglia modo il problema generale... basti vedere, uscito l'anno scorso, il film Viaggio Sola, di Maria Sole Tognazzi, con una narrazione all'insegna del quotidiano familiare, che si potrebbe dire realismo se alla tematica dell'indigenza economica sostituiamo quella dell'indigenza relazionale.
Comunque questo non è un blog di cinema, né di letteratura, ma di politica. Quindi il senso di questo post è che Hollywood, come in era Chaplin e Orson Welles, sta riproponendo in grande stile la tematica sociale... con modalità che ricordano il cinema di Welles e poco quello di Chaplin. Siccome in Italia le cose americane arrivano a mordere 4-5 anni dopo, possiamo forse aspettarci le distopie sociali un po' barocche per il... diciamo 2019?  

Segnali di decadenza: mentire sul poco per conto di...

Una supplente di italiano di mia conoscenza, da pochi giorni in una nuova scuola, deve partecipare agli scrutini relativi al primo quadrimestre di lavoro. Poiché nei mesi precedenti l'insegnante titolare si è presentata molto di rado, ma pur sempre chiedendo aspettative o malattia di breve periodo, il preside (assecondando una direttiva di ordine economico da parte del MIUR) ha cercato di sostituire l'assente usando le ore buche del corpo docente, anziché nominando un supplente regolare. Risultato: la classe non ha svolto nulla del programma previsto e non sono state fatte verifiche dalle quali risultino voti a registro sufficienti allo scrutinio del quadrimestre già concluso. E fin qui, nulla di eccezionale, ordinaria inefficienza della scuola italiana in tempo di crisi.
Ma ora viene il bello: l'insegnante precaria finalmente subentrata rileva al preside che
a. il programma non è stato svolto
b. non ci sono voti a registro sufficienti per lo scrutinio
Sul punto a. il preside non si pronuncia; sul punto b. il consiglio è il seguente: fare al più presto una verifica da cui ricavare almeno un secondo voto quadrimestrale in vista dello scrutinio e registrare tale secondo voto in una data compresa nel I quadrimestre (in sostanza retrodatare il compito, fosse pure in una data in cui la supplente non era ancora stata nominata...); anche perché, aggiunge il preside, il sistema del registro elettronico non ammette voti a valere sul primo quadrimestre con data successiva alla fine del quadrimestre stesso.
In pratica l'intero sistema chiede alla supplente di "mentire" sulla data di realizzazione della verifica per ragioni di opportunità e di tecnicità.... occorre nascondere l'inefficacia delle scelte compiute dal preside.
Mi vengono in mente di nuovo i miei cari russi e in particolare la kafkiana burocrazia zarista: stando ai registri tutto risulta regolarmente svolto, senza possibilità di errore; il risultato tuttavia è nei fatti un disastro su tutta la linea. Manca solo, ma arriverà, un funzionario incaricato di indagare il motivo dello scostamento fra risultanze a registro e inefficienza dei risultati... che è esattamente l'immagine, l'allegoria definitiva della burocrazia inefficiente: tutto è registrato, tutto è controllato, tutto è verificabile e nulla funziona.
Bene. In capo a tutto questo c'è però una cosa, che è sempre la stessa, in ogni epoca e in ogni continente: la menzogna richiesta a un anello della catena, in genere il più debole e ignaro.
Ovviamente ho consigliato alla mia conoscente di non mentire nemmeno sul poco, di realizzare subito la verifica necessaria ma di registrarla con data corretta, portando a scrutinio le inadempienze verificatesi nel primo quadrimestre.

venerdì 10 gennaio 2014

Segnali di decadenza: i farmaci miracolosi

A metà degli anni Novanta l'AIDS era ancora la più temibile minaccia per la salute mondiale. Non esistevano i farmaci retrovirali e i malati di AIDS, quelli ricchi e potenti, erano all'affannosa ricerca di un rimedio che li salvasse da un'orribile fine.
Fu in quel contesto che un team di scienziati armeni iniziò a sperimentare sui malati un nuovissimo farmaco: l'"armenicum", senza aver mai concluso una fase sperimentale condivisa da e con la comunità scientifica internazionale.
L'armenicum era un esperimento iniziato negli anni ottanta, elaborato ma non sperimentato e comunque estraneo ai circuiti scientifici. Subito dopo aver iniziato a usarlo, gli armeni sostennero di aver trovato la cura per l'AIDS e centinaia di malati si recarono effettivamente a Yerevan, in cerca di speranza.
In realtà nessuno ha mai dimostrato scientificamente - dati alla mano - che l'armenicum funzionasse. Si parlava, e si parla ancora, di favolose guarigioni e di misteriosi decessi, con tanto di occultamento di cadaveri.
Più peculiare ancora è il fatto che in Armenia, e limitati dintorni, l'armenicum fosse spacciato, sia durante l'utilizzo come anti-AIDS che in seguito, come panacea universale contro virus, batteri e quant'altro. E' un'idea proprio levantina questa del farmaco unico per tutte le malattie: viene in mente un film, Il mio grosso, grasso matrimonio greco, nel quale il padre della sposa (greca) è convinto di poter curare qualunque malanno con un liquido lavavetri.
Ma viene in mente anche l'attuale dibattito sulle favolose, e mai provate, potenzialità (ma si grida invero all'effettività) delle cellule staminali, un'invenzione "made in Italy", con la quale sarebbe possibile guarire una serie infinita di terribili malattie.
Ecco un altro segnale di decadenza nazionale: l'esaltazione popolare per le staminali. Della decadenza ha tutti i sintomi e i corollari: l'insofferenza a ogni critica, il complesso persecutorio e complottistico verso presunti affamatori e sfruttatori del popolo, l'odio per l'ammanicamento della politica, l'insofferenza per ogni argomento razionale e scientifico (ivi compresa l'ostilità per la sperimentazione su animali), l'allegato di leggende su favolose, ancorché non più dimostrabili, guarigioni.

giovedì 2 gennaio 2014

Su immediatezza e destino come strumenti del Sublime

Un dogma dei 5 stelle: l'immediatezza della partecipazione on-line.
L'immediatezza come strumento persuasivo foriero di consenso politico è equivalente al "destino" della nazione, del popolo. Come nel destino, Zeitgeist del popolo, il singolo realizza compiutamente, per l'apporto suo e degli altri, una causa comune inevitabile e imprescindibile (causa finale e iniziale), così nell'immediatezza telecomunicativa il singolo si realizza nell'atto collaborativo stesso. L'immediatezza in tal senso è un'anticipazione nella sfera del singolo di quel destino che alla fine si affermerà nella sfera collettiva. La propria piccola rivoluzione...
Ovviamente entrambi, il destino e l'immediatezza sono artifici retorici, perché il destino resta sempre imperscrutabile e l'immediato è sempre mediatissimo. La loro caratteristica è di appartenere al registro Sublime, giacché non persuadono o convincono rendendosi comprensibili, raggiungibili da chiunque ascolti, ma piuttosto esaltano, trascinano implicando pensieri elevati, passioni indomabili e linguaggio audace.

Per altro verso, "la propria piccola rivoluzione" è un perfetto sistema di dominio, poiché appaga il singolo senza realmente cambiare il mondo. E' l'equivalente dell'epicureismo o dello stoicismo dei nostri giorni: una filosofia privata, che aiuta a vivere meglio e non disturba il potere.

Italia: contabilità vs strategia, segnali di decadenza

L'Italia non è più capace di strategia, ma solo di contabilità. E anche quest'ultima, alla meglio.
Gli ultimi due governi, Monti e Letta, lo dimostrano in pieno... in entrambi gli esecutivi la prima preoccupazione del premier è sempre stata la rassicurazione dei mercati in merito ai conti pubblici. Quasi che il presidente del consiglio fosse prima di tutto un buon contabile, un ragioniere su cui fare affidamento.

Ma sarebbe iniquo ridurre a Monti e Letta il problema "contabilità versus strategia". La strategia pubblica è assente in Italia da molto tempo, dagli anni settanta forse.
Berlusconi era un buono stratega nell'ordire i propri interessi e nel predisporre campagne elettorali. Purtroppo non ha mai impiegato alcuna "strategia" nel governare il paese; non ha perseguito un disegno ambizioso per il bene collettivo, per l'identità nazionale, ma solo per il proprio tornaconto personale... e questo è il vero segno di decadenza;
Una strategia di governo non può coincidere con la razionalizzazione di un istinto di sopravvivenza... com'era in Berlusconi. Dev'essere piuttosto la razionalizzazione di un atto di pura fede; l'ingegnerizzazione umanistica di qualcosa di fortemente creduto dallo stratega.

Mi capita talvolta di pensare che cosa avrebbero potuto realizzare alcuni (tristemente) celebri onnipotenti della storia, se solo non avessero ceduto all'ambizione personale, all'avidità o a un frainteso concetto di razionalità. Stalin, per esempio, fece quel che fece per sete di potere, per timore di perdere il potere o perché ci credeva veramente? In quest'ultimo caso possiamo dire che applicò veramente un strategia; nei primi due casi sarebbe invece istinto di sopravvivenza.
Ma cosa non avrebbe potuto fare Stalin se solo avesse applicato una strategia diversa...?; o se non avesse pensato esclusivamente all'autoconservazione.
D'altronde Hitler può essere considerato in tutto e per tutto uno stratega, sebbene la sua strategia fosse aberrante e fallimentare. In Hitler mancò la fase di "razionalizzazione" (il logos, direbbe qualcuno) del puro atto di fede; in Hitler c'era solo il puro atto di fede - nella razza, nel fondamento biologico del potere - e la pretesa che tale fede dotata di imprimatur positivista (per non dire scientifico) - potesse razionalizzare il mondo. Ecco l'errore di Hitler e dei suoi contemporanei positivisti e scientisti: identificare strategia e razionalizzazione. La strategia emerge da un atto di fede razionalizzato, ma applicare una strategia non significa necessariamente razionalizzare il mondo. Il mondo non è un atto di fede, se lo fosse potrei far scomparire gli altri schioccando le dita... (cosa che Hitler cercò di fare).

Per tornare all'Italia, quale sarebbe un cenno strategico? Banalmente: il farsi pionieri in qualche ambito del governo della cosa pubblica, della giustizia, dell'educazione, della rappresentanza. Farsi pionieri significherebbe adottare un sistema teorico che nessun altro paese ha ancora adottato in risposta a uno specifico problema nazionale.

[Quello che invece purtroppo accade nel migliore dei casi è di copiare una soluzione, o un metodo consolidato, escogitato da qualche altra parte per risolvere un problema italiano che assomiglia, ma perlopiù non può coincidere, al problema impattato dalla soluzione straniera.]

In altre parole, strategia di governo significa tentare empiricamente una soluzione diretta su un problema, per come tale problema si presenta all'osservazione e all'analisi. Non riferendosi alle soluzioni escogitate da altri per problemi apparentemente simili. Strategia è mettere le mani in pasta, sporcarsi le mani, pensare a un problema anziché alla sua possibile indicizzazione e catalogazione. A tale proposito, esiste un'analogia fra la burocrazia del sapere accumulativo propugnato dalle nostre patrie università, e la mancanza di strategia dei nostri governi. Il sapere accumulativo-archivistico delle facoltà di diritto e lettere, ma anche di economia e ingegneria, se pure risulta scientificamente corretto (ma anche siffatta categoria è un esito di comodo, una mera convenzione accademica) e facilmente trasmissibile, è del tutto inadeguato a formare strateghi. Serve a formare discreti contabili molto bravi a indicizzare e catalogare. Monti e Letta. E a questo solo siamo...

Esiste poi una forma degenerata di strategia in politica: quella del burocrate che si sente imprenditore. Il rappresentante eletto o il potente dirigente pubblico che "ricerca fondi" per "realizzare grandi opere" le quali "promettono di ripagarsi e di rendere proventi". Si tratta, com'è evidente, di un'immane bestialità. La strategia di cui ho parlato più sopra riguarda la visione complessiva del paese in cui si vorrebbe vivere, del suo profilo morale, economico, culturale, politico, democratico... la visione di cosa una collettività dovrebbe essere, incluso il maggior numero possibile di dettagli. La si realizza principalmente operando sulle persone, sui rapporti di potere fra decisori e cittadini, sulle motivazioni e egli obiettivi di decisori e cittadini... non realizzando cubature o chilometri di strade e tracciando alla meglio un business plan. Un politico non dovrebbe essere un finanziatore di start-up infrastrutturali, ma un esperto di esseri umani e di felicità.      

Destra, sinistra e codici di condotta

La polarizzazione destra/sinistra nell'occidente contemporaneo è uno strano anello ricorsivo. L'economia non vi gioca quasi più alcu...