martedì 22 settembre 2015

Giudizio Finale

Quando il Figlio dell'uomo verrà nella sua gloria con tutti i suoi angeli, si siederà sul trono della sua gloria. E saranno riunite davanti a lui tutte le genti, ed egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri, e porrà le pecore alla sua destra e i capri alla sinistra. Allora il re dirà a quelli che stanno alla sua destra: Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo. Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi. Allora i giusti gli risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo veduto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando ti abbiamo visto forestiero e ti abbiamo ospitato, o nudo e ti abbiamo vestito? E quando ti abbiamo visto ammalato o in carcere e siamo venuti a visitarti? Rispondendo, il re dirà loro: In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me. Poi dirà a quelli alla sua sinistra: Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli. Perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare; ho avuto sete e non mi avete dato da bere; ero forestiero e non mi avete ospitato, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato. Anch'essi allora risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo visto affamato o assetato o forestiero o nudo o malato o in carcere e non ti abbiamo assistito? Ma egli risponderà: In verità vi dico: ogni volta che non avete fatto queste cose a uno di questi miei fratelli più piccoli, non l'avete fatto a me. E se ne andranno, questi al supplizio eterno, e i giusti alla vita eterna. [Matteo 25, 31-46]

Governo, politica e scontentezza

Se governare è l'arte di scontentare qualcuno, chi fa politica è uno che chiede di poter far scontenti gli altri.... allora perché tutti i politici promettono felicità? Dovrebbero sempre promettere lacrime e sangue... per non mentire fin dal principio.
Dovrebbero dire: "votate per me, vi scontenterò più e meglio di quell'altro"; solo così sarebbero credibili...

venerdì 11 settembre 2015

Di genio e aberrazione

Io penso (come altri?) che il genio sia figlio del caso e che il genio trasformi il caso in aberrazione per l'opinione pubblica o morale comunemente accettata (ormai per tale si intende la morale del giorno o della settimana. Che duri poco non v'è dubbio, ma che vi sia è altrettanto certo)
Penso che quest'ultima morale tenda costantemente alla repressione del caso-aberrazione all'origine del genio. Caso, per l'appunto, divenuto aberrante a causa del genio (della sua visione del caso). Detto così è un casino....

Facciamo un piccolo esempio. Nel 1984 O.P. è lo scrittore americano del momento. O.P. aveva un padre assente-giramondo e una madre alcolista. I suoi romanzi hanno conquistato mezzo mondo e soprattutto i lettori americani. In essi l'autore descrive l'infanzia difficile con la responsabilità di una sorella più piccola che egli dovette crescere da solo.Il futuro presidente americano T.C. nel 1984 ha 21 anni ed è uno studente di legge. Il libro di O.P. gli capita sotto gli occhi per caso ma lo legge con grande interesse. Trent'anni dopo, durante il primo anno della sua presidenza ingaggia una battaglia politica senza quartiere per aiutare le madri alcolizzate e punire i padri assenti-giramondo.

In altre parole, il genio (O.P. e il suo romanzo) si produce in circostanze che appaiono (a causa del romanzo e quindi del genio che l'ha prodotto) aberranti (l'abbandono da parte del padre, l'alcolismo). La morale comune (il presidente) considera malattie e abomini le condizioni che hanno creato il genio; le biasima e condanna senza riflettere (la morale non riflette) su quanto esse abbiano reso possibile il genio stesso che le ha descritte. Pertanto la morale comune, istigata dal genio, cerca di eliminare le aberranze che hanno prodotto il genio medesimo. Con il risultato che, sul lungo periodo, diminuiscono i casi-aberranza e i relativi geni e la civiltà da anti-estetica e censurante diviene sempre più, semplicemente, brutta.

Per converso la mancanza di una sovrastruttura repressiva massifica l'aberrazione, rendendola altrettanto antiestetica; e anestetica del genio...

Sui libri

Ai paladini dei libri io chiederei: perché i libri? Non siamo forse ben oltre la soglia della composta rivoluzione digitale che prevede la scomparsa del libro? C'è chi dice di no e chi dice di sì e chi dice che non ha nessuna importanza. E fra questi ultimi si pone il sottoscritto; quest'era digitale, rivoluzione dalle vittime di carta, è una rivoluzione della conservazione e della memoria. La fine della ridondanza e dell'imprecisione della copia e della mente umana. Fuor di dubbio che in essa il libro come entità non materiale troverà l'apice del suo potere. Ogni libro diventerà Un libro. Un'unica copia universalmente fruibile e intoccabile. Il libro non sarà più posseduto, ma eminentemente letto e il suo corpo sarà tanto particolare da aver vita di per se stesso, tanto che come Pigmalione noi lo imploreremo di parlare. Ed egli lo farà nel modo più pignolo, signore assoluto di sé stesso, mai in errore, sarà forse un mediocre conversatore; ma provate a coglierlo in fallo! Guardiano il libro lo è sempre stato, fin dalla sua giovinezza; anzi già prima di nascere. Ma oggi! Com'è essenziale il suo ruolo! Com'è prodigioso il fatto che sia sufficiente che qualcuno legga una volta sola un libro perché esso segni in qualche modo il suo tempo. E arriviamo sempre a notare che tutto era previsto, che il legame, l'intreccio più nascosto era chiaro come la luce del mezzogiorno. L'azione perfetta è il "quadrare"; leggi un libro oggi, vedrai che esso "quadra" perfettamente con tutti gli altri. Ma non leggerlo e ti resterà il dubbio, benché tu sappia che una volta letto esso quadrerà, ciò nonostante dovrai leggerlo per esserne certo!

Poi c'è l"imbroglio del gusto. Si sarà notato che mi piace andare subito all'incrocio delle vie... ma non intendo parlare di me. Certo è una bel taglio da opinionista questo, da pensiero concreto, da fustigatore del costume del denaro. Com'è impossibile sfuggire a questo ruolo per il lettore di libri! Guardiani di critica, di concretezza, di fustigazione sono loro e i loro lettori. Ma dal fondo di quale tomba cartacea potrà mai gridare la voce che non ripeta il suggerimento del guardiano? Sì, perché sono guardiani strani, che ti stanno alle spalle, che ti spingono avanti anziché indietro, a patto che tu ne abbia abbastanza intorno a te; che ti dicono cosa dire anziché impedirti di aprire bocca. Ma ecco l'imbroglio! La questione dei guardiani è così semplice, così lineare ma passa prima il gusto.

Questa ignobile sceneggiata del gusto. Non è forse il gusto una piramide che come ogni altura è più suggestivo scalare dalla base? Ogni pietra, ogni passo, ogni scalino ti affina i muscoli; la memoria poco a poco ti insegna il rifiuto del passo precedente, grezzo e inadeguato maestro rispetto al suo superiore. Non importa se qualcuno, se molti o moltissimi non troveranno interessante scalare di prima persona; Essi vivono nella regione i cui confini sono le linee che uniscono queste piramidi, è abbastanza. Di più: non può essere altrimenti, perché le piramidi sono pur sempre anche le mura delle città. Proprio lassù, proprio nel gusto hanno trovato il modo di far parlare di sé. Ma cosa nasconde la pretesa del gusto, se non un non-voler-guardare-avanti, pur dovendo permettere al tempo di avanzare? Oggi sono due le funzioni del gusto. Della prima in molti hanno già parlato. Essa è l'economia che deve sorreggere il gusto per esserne sorretta. E ora non mi si obietti che "c'è libertà". Non ha importanza questa libertà. Anzi, noi non la vogliamo neppure questa libertà. Essa concede di assottigliare il gusto, di alzare la piramide alla base o al mezzo. Ma la cima rimane sempre inarrivabile, poiché è dalla cima che si è iniziato a costruire. Questo è nella mente della nostra civiltà dei libri, da sempre. La perpetua desertificazione, altrimenti pensata come genealogia negativa o tensione al nulla inizia nell'ammirazione della cima e nella sua irraggiungibilità. L'altra funzione, più propria del termine, consiste nell'impedire che una qualsiasi opera contraria ad esso prenda piede. In breve, il gusto opera definendo la moda. Così ne ha un duplice vantaggio; da una parte sostiene la moda e agisce quindi in favore della prima funzione. Inoltre, abilmente, cala ogni oggetto nuovo, ogni idea, in un tempo effimero che Platone direbbe immagine dell'immagine mobile dell'eterno, quasi una quinta dimensione ultra temporem. Con l'eterno il sistema del gusto ha in comune la ciclicità, in qualsiasi forma. Non si vede abbastanza come esso continui a divorare sé stesso?

Il gusto, e ancor più la moda, cessano di essere tali allorché di essi si parli e si sappia. Allora entrano nella storia del gusto e nella storia della moda. Questo è un punto essenziale ed inequivocabile. Incatenata sul fondo di un oceano non teologico ma esistenziale, la moda è un altro tabù dei nostri giorni. E' anche l"unico sentire del momento. Malgrado la sua storia sia ormai ampiamente studiata essa esiste solo quando della moda si parli e non mentre la si viva, in quanto dell'istante non può esistere storia ma solo accadere. Questo attributo immancabile di discorsività, affinché la parola moda non cessi di avere significato, consente al gusto di operare indisturbato. Permette la sussistenza del ciclo che non deve avere memoria per non diventare tedioso e di conseguenza essere spezzato.  

giovedì 10 settembre 2015

L'ultimo tabù

Quando preferirei lavare i pavimenti, piuttosto che fare il lavoro che faccio, mi metto a scrivere sul mio diario di filosofo disorganizzato.
Ci sono cose tanto vicine che non riusciamo a vederle. Un po' come gli occhiali. Queste cose io le chiamo tabù. Prendiamo ad esempio la triade capitolina del mondo contemporaneo - o di qualsivoglia era? - Sesso, denaro e potere. Sesso e potere non sono così vicine, non lo sono più ma lo erano. Erano dei tabù. Il sesso era un tabù nelle società bigotte e riformate. Oggi tutti ne parlano liberamente. Tutti hanno una soluzione su come è meglio farlo, quando, con chi, perché sì e perché no e i mille modi e motivi, in un arabesco senza fine. Il lato deletereo del sesso detabutizzato è la depersonificazione dell'uomo, il suo divenire mero oggetto fisico deormonizzato e razionalizzabile. Una cosa da serial killer e necrofili. Io lo chiamo 'sesso acrobatico', perché è più o meno una cosa da circo.
Il potere è tabù in una società dittatoriale. Oggi tutti parlano del potere, di quanto è lercio chi lo detiene, nonché invidiato, nonché, forse, considerato lercio perché in realtà invidiato. Le lussureggianti teorie del complotto di ogni genere e natura sono lo feccia del potere detabutizzato, i loro creatori e soprattutto diffusori mi assomigliano incredibi
lmente a scarafaggi stercorari.

Il denaro no. Il denaro è l'ultimo tabù. Nessuno, badate, proprio nessuno parla del denaro. Nessuno vi dice come dovete spenderlo o meno. Il dileggio o disprezzo per determinati acquisti non fa riferimento al denaro, fa riferimento alla visione del mondo che tali acquisti presuppongono, e pertanto al potere, o all'estetica (pensiamo alle società in cui l'estetica era un tabù... ma è un altro discorso). Ma nessuno vi dice come dovete spendere il vostro denaro. Nessuno vi fa sentire in colpa perché lo spendete in un modo anziché in una altro. Nessuno osa parlarne. E' privato, è intimo, è un tabù. Solo il mendicante per strada osa farci sentire in colpa per non aver depositato la moneta richiesta. Ma si tratta di un rejetto, di uno scarto della società, di un emarginato, appunto, che non rispetta i tabù comuni.

Ma mi direte, la pubblicità onnipresente mi dice continuamente come devo spendere il denaro. Errore clamoroso! La pubblicità se ne infischia del vostro denaro. Non sa quanto denaro ha ciascuno di voi, sa quante persone ci sono che dispongono di una determinata quantità di denaro. E' una cosa diversa. La pubblicità si riferisce al denaro di tutti, non al vostro, e vi esorta a credere che il prodotto pubblicizzato vale il denaro che costa; che cosa rappresenti quel denaro per voi non la interessa minimamente, né dovrebbe interessare voi. E' interesse dei responsabili marketing che voi non vediate il legame fra l'oggetto e il denaro che sta nelle vostre tasche. Dovete vedere solo l'oggetto, l'oggetto assoluto direbbe Hegel, e desiderarlo. Il denaro deve rimanere un trascurabile passaggio. Tale e quale era il sesso nel mondo cattolico: un trascurabile passaggio per procreare.
Il tabù denaro è sempre più forte, sempre più onnipresente. Un'altra prova della sua esistenza e dimensione consiste nella progressiva scomparsa del denaro. Esso viene sostituito dalle carte di credito, che ne annullano totalmente la presenza fisica e lo riducono a un numero su un foglio di carta o su un monitor. Il credito al consumo annulla persino quel numero! Ideale della società odierna è sottrarre all'individuo medio la percezione del denaro, della sua esistenza. Cancellarne il concetto stesso.


Del resto come accadeva con il sesso tabù, più la società tenta di cancellarlo dalla mente degli uomini, più gli uomini ci pensano. Per questo ho incorniciato nel mio studio il verdone con l'effigie di George Washington: a eterno monito di libertà!

mercoledì 9 settembre 2015

Perché non vi fu divergenza cinese?

"In effetti, poiché la speranza di vita alla nascita era analoga [prima del 1750] - il che rende improbabile che gli europei fossero meglio nutriti  - l'enorme disparità di densità demografica fra l'Asia orientale e l'Europa occidentale costituisce una testimonianza impressionante dell'entità della differenza di efficienza fra l'agricoltura cinese e quella europea." cit da K. Pomeranz, La grande divergenza, p. 77.

Nella foga delle sue tesi, Pomeranz evidenzia spesso e a risolutamente la sostanziale identità fra condizioni europee e asiatiche preindustriali. Sottolinea soprattutto come molte condizioni fisico-geografiche a vantaggio dell'Asia pareggiassero eventuali soluzioni organizzative e condizioni materiali europee apparentemente assenti in Asia (per esempio il bestiame abbondante o le abitazioni più solide, o le reti di canali artificiali). Infine sostiene che il carbone, disponibile in abbondanza in Gran Bretagna, fu il vero artefice della grande divergenza.
Ma, viene da chiedersi, perché nessuno dei numerosi vantaggi geografici dell'Asia produsse una grande divergenza asiatica? Perché invece un solo vantaggio geografico europeo (il carbone) consentì all'Europa occidentale di "divergere"? Pomeranz risponderebbe: "perché l'Europa ebbe anche le risorse del Nuovo Mondo...". Tuttavia, ugualmente, l'idea che una serie di vantaggi "geografici" possa compensare una serie di soluzioni tecniche/organizzative è troppo meccanicistica e velatamente deterministica.
Un diverso rapporto (in Asia vs in Europa) con la natura; un fiero - filosofico - rifiuto del determinismo a favore del libero arbitrio (in Europa)... sono elementi che non rientrano nell'analisi storica contemporanea, e tanto meno nella cosiddetta world history.

giovedì 3 settembre 2015

Su Isis, il tempio di Baal e il futuro

Isis rade al suolo il tempio di Baal a Palmira. Noi occidentali della middle class non lo ammireremo mai, se non in foto, poveri noi, derubati di un così prezioso e utile svago (svaghi ne restano pur sempre molti, sono il nostro pane). Sbigottimento, indignazione, strazio, pena e rabbia si sprecano. Si resta senza parole (una condizione sempre più comune oggigiorno).
Eppure, sebbene io non approvi la barbarie di cui Isis è intrisa, non posso esimermi dal pensare che... o meglio una parte di me, che non mi è mai riuscito di zittire, rileva che... c'è della purezza, c'è perfino dell'arte in questa faccenda della distruzione dei musei archeologici e delle rovine eccetera, eccetera. C'è una forte affermazione identitaria, così forte da spiegare, oltre la sorpresa e l'incredulità, perché tanti giovani accorrano ad arruolarsi "con" o "contro" l'Isis.
La generazione dei figli ha sempre inteso rovesciare quella dei padri. In qualche modo è la sua missione, sebbene in paesi come il mio sia una faccenda ormai dimenticata.
Anche l'artista e l'artigiano sanno bene che la creazione fluisce copiosa nei rari momenti in cui è concesso ignorare - e pertanto sovvertire e distruggere - le opere già create. Il proiettarsi nella creazione, che non sia rifacimento e copia, proviene dalla cancellazione del consolidato; nel caso più comune dalla dimenticanza del consolidato, che raramente si concreta nella distruzione dello stesso, ma che può includerla.
Siamo agli antipodi della nostra civiltà europea, italiana in particolare ma anche tedesca o russa o inglese, siamo al rifiuto dell'accumulazione e del culto degli avi. Alla pura e semplice affermazione dell'io, con tutto il corredo di sangue e muscoli dei ventenni. Il fatto che agli antipodi vi sia tanta barbarie dovrebbe suggerirci che anche qui, agli antipodi degli antipodi, la barbarie contraria abbia raggiunto livelli insostenibili, penosi e strazianti, eccetera.
Si noti al proposito come il progressivo sfacelo di Pompei e di molti musei nazionali avvenga agli antipodi di Isis ma trascini, sia pur lentamente, al medesimo risultato... in fin dei conti purificatorio.

Se lo Stato va in utile...

Tempo fa, all'inizio di questo blog, scrivevo che un giorno potrebbe essere lo Stato a versare un "obolo" ai cittadini, anziché richiederlo sotto forma di tasse. Qualcosa del genere avviene già nei paesi esportatori di petrolio; avviene anche indirettamente attraverso il pubblico impiego. I limiti di questi due sistemi sono ben visibili: nei paesi esportatori di petrolio il fatto che la disponibilità dell'obolo dipenda interamente dalla possibilità di piazzare il petrolio all'estero; nel pubblico impiego nel fatto che l'obolo pubblico finisca nelle tasche di una fetta minoritaria della popolazione, la quale ha ogni interesse a rimanere tale.
La mia idea invece è che lo stato, con l'insieme dei servizi che produce, divenga una vera e propria società mirante a piazzare i suoi servizi sul mercato. Lo Stato dovrebbe incassare quanto serve al suo mantenimento dalla vendita dei suoi servizi e altresì ricavare un utile che possa essere ridistribuito ai cittadini, a tutti, sulla base del loro reddito. Ovviamente questo stato non dovrebbe incassare tasse ma potrebbe far pagare i servizi erogati il loro vero valore.  Lo so, mi si dirà che prima era così e gli Stati contemporanei esistono proprio per fare ciò che io nego loro. Ma i tempi sono cambiati da allora, soprattutto nei paesi in cui esiste una classe media. Non si trascuri il fatto, poi, che esistono diversi modi per consentire anche a chi non possiede mezzi, di usufruire dei servizi che lo stato farebbe pagare: attraverso il debito o attraverso la stampa di denaro per coloro che ne abbisognano.
L'importante sarebbe rovesciare la partita: creare uno stato il cui governo non sia più giudicato da quanto riesce a ridurre il prelievo, ma da quanto riesce a incrementare l'obolo.

Destra, sinistra e codici di condotta

La polarizzazione destra/sinistra nell'occidente contemporaneo è uno strano anello ricorsivo. L'economia non vi gioca quasi più alcu...