venerdì 11 settembre 2015

Sui libri

Ai paladini dei libri io chiederei: perché i libri? Non siamo forse ben oltre la soglia della composta rivoluzione digitale che prevede la scomparsa del libro? C'è chi dice di no e chi dice di sì e chi dice che non ha nessuna importanza. E fra questi ultimi si pone il sottoscritto; quest'era digitale, rivoluzione dalle vittime di carta, è una rivoluzione della conservazione e della memoria. La fine della ridondanza e dell'imprecisione della copia e della mente umana. Fuor di dubbio che in essa il libro come entità non materiale troverà l'apice del suo potere. Ogni libro diventerà Un libro. Un'unica copia universalmente fruibile e intoccabile. Il libro non sarà più posseduto, ma eminentemente letto e il suo corpo sarà tanto particolare da aver vita di per se stesso, tanto che come Pigmalione noi lo imploreremo di parlare. Ed egli lo farà nel modo più pignolo, signore assoluto di sé stesso, mai in errore, sarà forse un mediocre conversatore; ma provate a coglierlo in fallo! Guardiano il libro lo è sempre stato, fin dalla sua giovinezza; anzi già prima di nascere. Ma oggi! Com'è essenziale il suo ruolo! Com'è prodigioso il fatto che sia sufficiente che qualcuno legga una volta sola un libro perché esso segni in qualche modo il suo tempo. E arriviamo sempre a notare che tutto era previsto, che il legame, l'intreccio più nascosto era chiaro come la luce del mezzogiorno. L'azione perfetta è il "quadrare"; leggi un libro oggi, vedrai che esso "quadra" perfettamente con tutti gli altri. Ma non leggerlo e ti resterà il dubbio, benché tu sappia che una volta letto esso quadrerà, ciò nonostante dovrai leggerlo per esserne certo!

Poi c'è l"imbroglio del gusto. Si sarà notato che mi piace andare subito all'incrocio delle vie... ma non intendo parlare di me. Certo è una bel taglio da opinionista questo, da pensiero concreto, da fustigatore del costume del denaro. Com'è impossibile sfuggire a questo ruolo per il lettore di libri! Guardiani di critica, di concretezza, di fustigazione sono loro e i loro lettori. Ma dal fondo di quale tomba cartacea potrà mai gridare la voce che non ripeta il suggerimento del guardiano? Sì, perché sono guardiani strani, che ti stanno alle spalle, che ti spingono avanti anziché indietro, a patto che tu ne abbia abbastanza intorno a te; che ti dicono cosa dire anziché impedirti di aprire bocca. Ma ecco l'imbroglio! La questione dei guardiani è così semplice, così lineare ma passa prima il gusto.

Questa ignobile sceneggiata del gusto. Non è forse il gusto una piramide che come ogni altura è più suggestivo scalare dalla base? Ogni pietra, ogni passo, ogni scalino ti affina i muscoli; la memoria poco a poco ti insegna il rifiuto del passo precedente, grezzo e inadeguato maestro rispetto al suo superiore. Non importa se qualcuno, se molti o moltissimi non troveranno interessante scalare di prima persona; Essi vivono nella regione i cui confini sono le linee che uniscono queste piramidi, è abbastanza. Di più: non può essere altrimenti, perché le piramidi sono pur sempre anche le mura delle città. Proprio lassù, proprio nel gusto hanno trovato il modo di far parlare di sé. Ma cosa nasconde la pretesa del gusto, se non un non-voler-guardare-avanti, pur dovendo permettere al tempo di avanzare? Oggi sono due le funzioni del gusto. Della prima in molti hanno già parlato. Essa è l'economia che deve sorreggere il gusto per esserne sorretta. E ora non mi si obietti che "c'è libertà". Non ha importanza questa libertà. Anzi, noi non la vogliamo neppure questa libertà. Essa concede di assottigliare il gusto, di alzare la piramide alla base o al mezzo. Ma la cima rimane sempre inarrivabile, poiché è dalla cima che si è iniziato a costruire. Questo è nella mente della nostra civiltà dei libri, da sempre. La perpetua desertificazione, altrimenti pensata come genealogia negativa o tensione al nulla inizia nell'ammirazione della cima e nella sua irraggiungibilità. L'altra funzione, più propria del termine, consiste nell'impedire che una qualsiasi opera contraria ad esso prenda piede. In breve, il gusto opera definendo la moda. Così ne ha un duplice vantaggio; da una parte sostiene la moda e agisce quindi in favore della prima funzione. Inoltre, abilmente, cala ogni oggetto nuovo, ogni idea, in un tempo effimero che Platone direbbe immagine dell'immagine mobile dell'eterno, quasi una quinta dimensione ultra temporem. Con l'eterno il sistema del gusto ha in comune la ciclicità, in qualsiasi forma. Non si vede abbastanza come esso continui a divorare sé stesso?

Il gusto, e ancor più la moda, cessano di essere tali allorché di essi si parli e si sappia. Allora entrano nella storia del gusto e nella storia della moda. Questo è un punto essenziale ed inequivocabile. Incatenata sul fondo di un oceano non teologico ma esistenziale, la moda è un altro tabù dei nostri giorni. E' anche l"unico sentire del momento. Malgrado la sua storia sia ormai ampiamente studiata essa esiste solo quando della moda si parli e non mentre la si viva, in quanto dell'istante non può esistere storia ma solo accadere. Questo attributo immancabile di discorsività, affinché la parola moda non cessi di avere significato, consente al gusto di operare indisturbato. Permette la sussistenza del ciclo che non deve avere memoria per non diventare tedioso e di conseguenza essere spezzato.  

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